Confraternita di Sant'Antonio Abate

La Compagnia di Sant'Antonio Abate, detta anche Buca in Pinti e Compagnia del Santo Ritiro, è un'antica confraternita fiorentina, ancora oggi esistente, che ha avuto varie sedi tra cui, l'ultima, in via degli Alfani 47.

Storia

L'entrata attuale in via Alfani, addobbata per la festa di sant'Antonio La compagnia ebbe origine nell'inverno del 1485, quando dodici patrizi fiorentini decisero di riunirsi per scopi devozionali. La prima sede fu la chiesa di San Cristoforo degli Adimari, a cui poi seguirono la Santissima Annunziata, Borgo Pinti (in un edificio donato da Lorenzo il Magnifico accanto all'attuale chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi) e via Alfani. Il nome di "buca" di Sant'Antonio Abate venne dato all'epoca di Antonino Pierozzi, che chiamò così tutte le confraternite caratterizzate dalla pratica della flagellazione, dalla disciplina e dall'uso di riunirsi in preghiera la notte. Oltre a questa c'erano la Compagnia di San Jacopo del Nicchio in Oltrarno, buca di San Girolamo sulla Costa San Giorgio e la buca di San Paolo Apostolo in via Guelfa. La compagnia di Sant'Antonio, nel XVII secolo, era detta anche "del Silentio", poiché era vietata la parola senza l'autorizzazione del Governatore. La compagnia aveva un altare nella chiesa di Santa Maria degli Alberighi, poi inglobata in Santa Margherita de' Ricci, adornato da una pala di Francesco Curradi con Gesù che sana lo storpio. Aveva inoltre una sorta di gemellaggio con la confraternita di San Ludovico re di Francia di Ferrara, i cui discopoli potevano partecipare alle adunate fiorentine e viceversa. La compagnia fu soppressa da Pietro Leopoldo nel 1785, con tutte le altre di Toscana, ma cinque anni dopo fu ristabilita, al pari di altre importanti istituzioni religiose, con un nuovo decreto che ne valorizzava il numero di iscritti (ben 550) e l'attività. La buca è ancora oggi esistente, con il nome di "Confraternita del Santo Ritiro del Silenzio sotto l'invocazione di Sant'Antonio Abate". Con grande partecipazione si solennizzava poi il Giovedì santo e la festa di sant'Antonio Abate, il 17 gennaio. Svolgeva inoltre opere di assistenza, soccorso ed elemosina. Era retta da un governatore, due consiglieri, un camarlingo-provveditore, due sagrestani, un cerimoniere, tre maestri dei novizi, tre infermieri e tre limosinieri. Nel XVIII secolo era l'unica compagnia fiorentina ad avere ben due direttori. Il 17 gennaio di ogni anno viene festeggiato il santo protettore sant'Antonio abate con riti religiosi e distribuzione del piccolo panino benedetto di antica tradizione. In questo stesso giorno 17 gennaio vengono benedetti tutti gli animali portati nella cappella di sant'Antonio abate in via degli Alfani n. 47 di Firenze nel ricordo di sant'Antonio abate protettore di tutti gli animali e di tutte le persone che lavorano con gli animali e con il fuoco. La sede attuale si trova in alcuni ambienti già del convento di Santa Maria degli Angeli. In particolare comprende un oratorio grande, già affacciato sul chiostro degli Angeli (oggi gli accessi sono murati), con stalli per i confratelli in legno e all'altare un gruppo sagomato della Crocifissione di Jacopo del Sellaio. Oltre a un oratorio piccolo, la confraternita ha a disposizione alcune stanze in cui è raccolto un piccolo gruppo di opere, solo parzialmente studiate e alcune in attesa di essere restaurate e restituite a una migliore leggibilità. Tra quelle già restaurate un Crocifisso processionale del Cinquecento, riferito alla bottega di Andrea Sansovino; vi si conservano inoltre dipinti dell'Empoli, di Domenico Puligo, di Giovanni del Brina e di Giovan Battista Vanni, un ciclo di lunette di Sante Pacini con le Storie di sant'Antonio, una serie di tavolette con Storie del Battista di Agostino Ciampelli, due tele seicentesche con figure di apostoli, copie da Simone Cantarini.

Stemma

L'arme della compagnia era nero, con un grande Tau bianco simbolo di sant'Antonio, una A bianca più piccola (di Antonio) e una S rossa ancora più piccola (di "san").

Confraternita dei Buonomini di San Martino

L'oratorio dei Buonomini di San Martino è un luogo di culto cattolico del centro di Firenze situata nell'omonima piccola piazza di San Martino, al termine di via de' Magazzini, angolo via Dante Alighieri, posto di fronte alla Torre della Castagna.

Le origini

Vicino al grande monastero della Badia Fiorentina esisteva una chiesetta fondata probabilmente nel X secolo, chiamata San Martino al Vescovo. Patronata da importanti famiglie della zona come i Donati e gli Alighieri (la Casa di Dante sorge infatti ad appena un isolato), è tradizionalmente il luogo indicato per il matrimonio di Gemma Donati con Dante Alighieri. Con la crescita demografica e l'espansione urbanistica del basso medioevo fu necessario un riassetto ecclesiastico della città con la soppressione graduale delle piccole parrocchie, compresa San Martino.

La Compagnia dei Buonomini

Cessata la funzione parrocchiale, la chiesetta viene affidata ad una compagnia assistenziale appena fondata dal vescovo Sant'Antonino (ritratto sopra la porta), nell'ambito del progetto di razionalizzazione degli istituti assistenziali promossa dall'arcivescovo "umanista". Se infatti fino ad allora esistevano solo generici Spedali o confraternite, dal XV secolo i compiti vennero differenziati fra le strutture specializzate ed attrezzate per lo scopo specifico, come il celebre Spedale degli Innocenti, primo orfanotrofio d'Europa. La Compagnia dei Buonomini di San Martino fu quindi fondata nel 1441 e, composta da dodici uomini scelti nella confraternita della buca di San Girolamo, nata con lo scopo di soccorrere "i poveri verghognosi", ovvero le famiglie benestanti cadute in disgrazia per via delle lotte politiche, di rovesciamenti economici e altro, i quali, per pudore, non chiedevano elemosine pubblicamente. Questi confratelli (i cosiddetti Buonimini) ancora oggi aiutano alacremente tale categoria di bisognosi. All'epoca portavano in genere un manto nero ed una specie di copricapo rosso in testa, come sono ben riconoscibili negli affreschi dell'oratorio, che fu riedificato a partire dal 1479. La serietà della compagnia suscitò il rispetto e l'ammirazione della città, tanto da venire menzionati da papa Eugenio IV come Angeli di Firenze, mentre Savonarola, nel suo breve periodo di governo della città, fece devolvere alla compagnia la notevole cifra di 3.000 fiorini desunti dalla tassa pagata dal clero diocesano alla Repubblica. Quando i Buonomini hanno estremo bisogno di denaro accendono una candela alla porta d'ingresso, uso da cui è invalso il detto essere ridotti al lumicino. La decorazione dell'oratorio

Interno dell'oratorio

Con il riconoscimento dell'opera di assistenza, discreta e concreta, è facile immaginare il sostegno con lasciti e donazioni di ricche famiglie cittadine, che portarono presto al bisogno di decorare degnamente la sede con una serie di affreschi illustrati. Gli affreschi sono generalmente ascritti a un autore della bottega di Domenico Ghirlandaio, anche se studi recenti paiono indicare come più probabile, tra le tante ipotesi sollevate, il nome di Francesco d'Antonio, un miniaturista che aveva la propria bottega nel quartiere dei cartolai (addetti alla produzione e vendita di libri), situato proprio dirimpetto, attorno alla Badia. Questa attribuzione è anche suffragata dalla minuziosa resa dei dettagli di oggetti e aspetti della vita comune, tipica di chi lavorava sulle preziose pagine miniate. Un altro nome proposto è quello di Bartolomeo di Giovanni, almeno per nove delle dieci lunette, collaboratore di Ghirlandaio nell'Adorazione dei Magi degli Innocenti e in altre opere. Le dieci lunette raffigurano le Storie di san Martino (le due accanto all'altare, raffiguranti San Martino che cede il mantello ad un povero e il Sogno di san Martino, emblematiche della funzione assistenziale), le Opere di misericordia e due raffiguranti atti notarili (Inventario e Matrimonio), influenzate sicuramente dalla vicina e potente Arte dei Giudici e Notai, che aveva la propria sede nella vicinissima via del Proconsolo. Le lunette hanno un grande interesse sociologico e storico, oltre che artistico, perché ritraggono con fedeltà la vita comune della Firenze del Quattrocento: per esempio nella prima a sinistra dopo l'ingresso è raffigurata la Visita agli infermi, dove i buonomini portano un pollo ed un fiasco di vino ad una donna che ha appena partorito; la condizione di (ex) famiglia benestante è rappresentata dal mobilio e dalla presenza di una persona di servitù che prende i doni; inoltre i Buonomini offrono stoffa e filo per vestire il bambino. Oltre agli affreschi sono presenti un busto di Sant'Antonino sull'altare, attribuito al Verrocchio, e una bella tavola quattrocentesca con una Madonna col Bambino. Sulla facciata accanto alla porta, un tabernacolo con San Martino che fa l'elemosina ai poveri di Cosimo Ulivelli sovrasta la buca dove si inseriscono le elemosine.

Confraternita dei Vanchetoni

L'oratorio dei Vanchetoni è un luogo di culto cattolico situato in via Palazzuolo 17 a Firenze, la sede dell'Arciconfraternita di San Francesco.

Storia

Il tessitore Ippolito Galantini (sul portale si trovava un suo busto seicentesco, oggi in deposito) si dedicò all'insegnamento della dottrina cristiana, fondando la Congregazione della Dottrina Cristiana ed i membri della Compagnia ebbero l'appellativo di Vanchetoni, per il modo di camminare cheti e silenziosi, e di bacchettoni, in riferimento alla bacchetta usata a scopo penitenziale (tutt'oggi bacchettone indica una persona moralista o dotata di eccessivo zelo religioso). Il fondatore fece costruire dal 1602 l'oratorio e la sede della confraternita su disegno probabilmente di Giovanni Nigetti, grazie a un terreno concesso dai francescani di Ognissanti, e fu posta la prima pietra il 14 giugno di quell'anno. Il 4 ottobre 1603 fu officiato per la prima volta in onore alla festa di san Francesco, anche se la conclusione ufficiale dei lavori si ebbe soltanto nel 1604. Nel 1619 il fondatore scomparve e da allora i confratelli, che erano laici al pari dello stesso Ippolito, si dedicarono all'assistenza dei poveri e all'educazione evangelica dei bambini, godendo di grande prestigio per tutto il Seicento e il Settecento. Nel 1620, grazie agli aiuti munifici di Maria Maddalena d'Austria, moglie di Cosimo II, e dell'arcivescovo Alessandro de' Medici, futuro papa Leone XI, che pose la prima pietra il 4 novembre di quell'anno, si aggiunsero il vestibolo e la facciata su via Palazzuolo, forse su progetto di Matteo Nigetti coadiuvato dal fratello Giovanni. La lunga sala dove si riunivano i confratelli, dotata di una specie di coro ligneo su tre lati, fu affrescata fra il 1633 e il 1640 da alcuni dei migliori artisti sulla scena fiorentina. Nel 1785 la confraternita fu una delle nove in tutto il Granducato a non venire soppressa da Pietro Leopoldo. Nel 1825, durante i festaggiamenti per la beatificazione del fondatore, venne aggiunto il campanile a vela. Ai confratelli, che nel frattempo avevano venduto una parte del patrimonio artistico mobile (oggi in alcuni famosi musei del mondo), restò l'oratorio, alcuni appartamenti e l'obbligo della preghiera. Nel 2008 la confraternita è stata oggetto di un tentativo di soppressione per alcune irregolarità, che non rispettavano più le finalità religiose dello Statuto. Ne è nato un contenzioso con la diocesi che si è protratto per un decennio, e che ha segnato una lunga chiusura dell'oratorio, sebbene nel frattempo interessato da restauri. Conclusa la vertenza con il mantenimento della confraternita, l'oratorio è stato riaperto solennemente il 4 ottobre 2019.

Locali

Al centro della sala principale, che ne fa il più grande oratorio di Firenze, spicca un grande stemma mediceo di Pietro Liberi, mentre tutt'intorno si trovano pitture a quadri riportati di Giovanni Martinelli (Predica del Beato Ippolito Galantini - con veduta di Porta al Prato e del luogo dove poi sorse l'oratorio - i Santi Ignazio, Domenico, Giuseppe e Bernardino da Siena), Domenico Pugliani (Morte del Beato Galantini, San Francesco in Gloria, Santa Lucia, Santa Caterina e la Maddalena), il Volterrano (San Giovanni Evangelista, San Giovanni Battista, San Filippo Neri), Cecco Bravo e Lorenzo Lippi. Una cappella dietro l'altare conserva un grande Crocifisso cinquecentesco, mentre nella cappella del beato si trovano numerosi ex voto. Notevoli sono gli antichi armadi di sagrestia intarsiati.

Compagnia di San Francesco Poverino

La Venerabile confraternita di San Girolamo e San Francesco Poverino in San Filippo Benizi è una confraternita di Firenze. Tuttora esistente, nacque nel 1912 dalla fusione della buca di San Girolamo con la Compagnia di San Francesco Poverino, ed ebbe sede nell'oratorio a lato del loggiato dei Serviti, già sede della soppressa Compagnia di San Filippo Benizi.

Storia

La confraternita era sorta verso il 1360 come "Compagnia di Santa Maria della Pietà" presso il convento di San Girolamo a Fiesole, attorno alla figura carismatica del beato conte Carlo Guidi da Montegranelli, fondatori dei Girolamini (congregazione approvata poi nel 1405). Dal 1412 la Compagnia si trasferì nei sotterranei dello spedale di San Matteo, con accesso da via della Sapienza (oggi via Cesare Battisti). In quel periodo prese in nome popolare di "buca di San Girolamo", dal fatto che si riuniva in ambienti sotterraneo (le "buche") e che proveniva da San Girolamo a Fiesole; inoltre veniva detta di "via della Sapienza" per distinguersi dalla buca di San Girolamo sulla Costa San Giorgio. Era detta anche "dei Leoni" perché nell'antistante palazzo si trovava il serraglio dei leoni allevati a spese del Comune. Le adunate avvenivano ogni due sabati e in occasione di alcune festività, ed erano caratterizzate dalla preghiera silenziosa. Inoltre presso l'ospedale di San Matteo offrivano assistenza medica ai propri iscritti e ai loro familiari. Da questa Compagnia, nel 1441, Antonino Pierozzi (che ne faceva parte con l'incarico di Correttore) prelevò dodici personmalità per fondare i Buonomini di San Martino. Nel censimento del 1783, contava ben 500 iscritti, tra ecclesiastici, nobili, cittadini e artisti. Tra i membri illustri, oltre al già citato sant'Antonino Pierozzi, vi furono san Bernardino da Siena, papa Paolo II, Leone XI, il leterato Feo Belcari e numerosi ecclesiastici di rango come vescovi e cardinali. La confraternita fu una delle nove, in tutta la Toscana, ad essere risparmiata dalle soppressioni di Pietro Leopoldo del 1785. Tuttavia quello stesso annola loro sede venne espropriata per la creazione dell'Accademia di Belle Arti, ottenendo però la sede della soppressa Compagnia di San Filippo Benizi presso il Loggiato dei Serviti, in piazza della Santissima Annunziata. Qui portò le opere d'arte accumulate nel corso degli anni, tra cui la pala di Jacopo da Empoli, la statua di San Girolamo attribuita a un artista vicino ad Andrea del Castagno, il Crocifisso del Verrocchio (oggi al Museo del Bargello). Nel 1912 si fuse con la Compagnia di San Francesco Poverino. La Compagnia di San Francesco Poverino nacque a metà del XV secolo presso la chiesa di San Niccolò Oltrarno come confraternita di disciplinati. I documenti relativi alla fondazione andarono probabilmente perduti durante un'alluvione, quando spesso andavano distrutti gli archivi di tutte quelle parrocchie invase dalle acque. In ogni caso la confraternita è ricordata in un documento del 1527, con circa 300 confratelli, e nel Capitoli del 1670 si ricorda come dal 1603 la sede fosse stata spostata in via San Zanobi, nel tratto più vicino a via delle Ruote. Più avanti la Compagnia divenne a numero chiuso, limitando gli iscritti al numero simbolico di settantadue, come i Discepoli di Cristo. Esisteva poi una confraternita gemella "della Notte" che si riuniva negli stessi ambienti ma per la preghiera notturna alla vigilia delle feste. I partecipanti erano soprattutto provenienti dal popolo minuto, soprattutto torcitori e tintori di panni. Le riunioni di preghiera avvenivano ogni seconda e quarta domenica del mese, per le feste degli Apostoli, della Quaresima e della Settimana Santa, e per la festa del patrono san Francesco il 4 ottobre. I membri sfilavano nella processione del Corpus Domini al Duomo di Firenze e nell'ottava domenica del tempo ordinario, inoltre ogni tre anni si recavano in pellegrinaggio alla Madonna dell'Impruneta. Oltre agli aspetti devozionali, la confraternita si occupava di mutua assistenza in caso di malattia o di indigenza di un partecipante o di un suo familiare. Lo stemma era d'azzurro con tre lettere d'oro S F P con segni diacritici La Compagnia di San Francesco Poverino venne soppressa de Pietro Leopoldo il 21 marzo del 1785[1], ma ripristinata nel 1790, riacquistando l'antica sede nel frattempo venduta a privati, ma vendendola poi nuovamente nel 1794 a un certo Giovacchino Collini con diritto di uso in comodato. Tuttavia nel 1844 il loro oratorio fu demolito per la costruzione di via XVII Aprile, nell'ambito dei lavori per la creazione del quartiere di Barbano. Fino al 1906 si riunirono dunque nella chiesa di San Giovannino dei Cavalieri, per poi trasferirsi presso la sede la Compagnia di San Girolamo, che si riuniva in piazza della Santissima Annunziata. Le due confraternite di aggregaronmo poi ufficialmente nel 1912. La Compagnia di San Girolamo e San Francesco Poverino oggi si ritrova ancora nell'oratorio in piazza della Santissima Annunziata. Gestisce inoltre una mensa per i poveri, che venne scelta da papa Francesco per pranzare durante la sua visita a Firenze del 10 novembre 2015[2].

Compagnia di San Niccolò del ceppo

La Compagnia di San Niccolò del Ceppo è un'antica confraternita fiorentina, tuttora esistente, avente sede nell'oratorio del Ceppo in via de' Pandolfini 3.

Storia

La compagnia ebbe origine alla fine del Trecento, probabilmente dalla trasformazione di una congregazione più antica già esistente in Oltrarno e dedicata alla Visitazione della Santissima Vergine e a san Niccolò (san Nicola di Bari), con una particolare devozione a san Girolamo. La confraternita aveva due nuclei, uno di fanciulli, che si riunivano di giorno, e una di adulti, che facevano pratiche penitenziali di notte. Nel 1417, necessitando una sede più confacente alle proprie esigenze, si trasferirono nel "popolo" (cioè nella parrocchia) di San Jacopo tra i Fossi, accanto al monastero delle Poverine in un luogo detto "il Ceppo", lungo l'attuale via Tripoli. Parrebbe quindi che la compagnia abbia preso il nome da questo luogo e non viceversa e che comune. Il "ceppo" era comunque un pezzo di tronco cavo di solito di quercia che, datogli la forma di una cassetta con una feritoia, veniva riempito di elemosine: se ne trovavano spesso nelle chiese, nei pii istituti, nei monasteri, nelle compagnie e negli ospedali. Con "ceppo" si indica ancora oggi, in Toscana, il regalo natalizio ai bambini. La nuova sede fu inaugurata il 1º maggio 1417, e da allora tale data fu festeggiata ogni anno, donando a chiunque si recasse all'oratorio un'arancia, un limone o un mazzetto di fiori, proprio san Nicola era stato noto per i doni elargiti. La compagnia teneva inoltre l'ospedale dei Santi Filippo e Jacopo, presso la Torre della Zecca Vecchia, detto "il Ceppo delle Sette Opere di Misericordia". Tra i confratelli ci fu il beato Tommaso Bellacci, baccaio d'origine abruzzese che decise di convertirsi dopo aver assistito alle pratiche devozionali dei confratelli e che finì la sua esistenza come frate nel convento di San Francesco di Fiesole. Nel 1441 si staccò un gruppo di adulti che fondò la Buca di San Girolamo, una compagnia di disciplinati che si riuniva alla costa San Giorgio. Nel 1450 i Capitoli della compagnia furono approvati dall'arcivescovo Antonino Pierozzi, promotore di un riordino delle istituzioni devozionali in città. Il vescovo, poi santo, aveva una predilezione per la compagnia del Ceppo che applicava "tutte e sette le opere di misericordia", e tale evento è ricordato in un affresco nell'oratorio di via Pandolfini. L'11 maggio 1523 Leone X concesse ai confratelli l'indulgenza plenaria e il permesso di celebrare nell'oratorio le cerimonie del Sabato Santo. Con l'assedio di Firenze ai confratelli fu chiesto di cedere la loro sede alle monache di San Miniato al Monte, abitanti fuori le mura, e a loro furono concessi gli ambienti della chiesa di Santa Maria Vergine della Croce al Tempio, già della Compagnia dei Neri. Nel 1557 un'alluvione distrusse molti beni del sodalizio: fu necessario riscrivere i Capitoli decifrando quello che restava dei vecchi, portandoli all'approvazione del vescovo già l'anno successivo. Nel 1561 infine fu deciso di creare una nuova sede, acquistando alcune case in via dei Pandolfini, con un nuovo oratorio progettato dal Giambologna. Nelle processioni di quegli anni i confratelli portavano due quadroni accoppiati con la Visitazione e San Niccolò e due fanciulli membri della compagnia di Giovanni Antonio Sogliani. Dal 1585 ebbe sede al Ceppo anche la "Compagnia dei 33" (gli anni di Cristo), che faceva speciali preghiere e opere devozionali il Venerdì santo, ed era composta per un terzo da nobili e per due terzi da comuni cittadini tra cui i confratelli più benemeriti del Ceppo. Essi ogni anno elargivano a tre fanciulle povere dieci scudi d'oro per farsi una dote e maritarsi, a imitazione del gesto di san Nicola. Nella seconda metà del Settecento la Compagnia dette inoltre vita a un'Accademia di musica. Scampata all'epoca delle soppressioni, altri privilegi vennero concessi da Pio VII (nel 1820) e da Gregorio XVI (1841). Nel 1837 fu resa partecipe dei benefici di Vallombrosani, Serviti e Francescani. Il 6 dicembre, giorno di san Nicola, la compagnia festeggia in modo solenne ed era usanza regalare un panellino formato da tre palline, in memoria del dono di tre sfere dorate che san Nicola donò ad altrettante povere fanciulle.

Stemma

L'arme della compagnia era azzurro, con un pastorale dorato in palo sormontato da una mitria d'argento e ai lati le lettere S (san) e N (Niccolò) in oro; in punta tre palle.

Confraternita di Sant'Antonio Abate di Noto

Nasce a Noto nel sec. XV. Poco si sa sulle Confraternite netine nel Basso Medioevo, epoca in cui le più antiche sorsero. Solo di recente è emerso dagli archivi qualche cenno su alcune di esse, a partire dal XV sec. Sappiamo poi da Littara che nel 1497 erano presenti a Noto 18 Confraternite; settant'anni dopo, un documento del Libro Rosso ne elenca 17. Nel corso del Seicento il numero delle Confraternite netine si riduce drasticamente, mentre alcune cambiano titolo ed altre vengono fondate ex novo. Alla vigilia del terremoto il Tortora elenca le sette esistenti. Dopo il terremoto le Confraternite riprendono la loro attività e nella prima metà del sec. XIX se ne contano 16; esse perdono però progressivamente la primitiva importanza, benché abbiano ancora un notevole numero di associati. Da sempre legati alla Chiesa di Sant'Antonio Abate e' una delle più antiche della città; ed appartenne alla Arciconfraternita di Sant' Antono Abate. La facciata molto semplice presenta un portale con ai lati due colonne in stile corinzio che sostengono un timpano spezzato; tra il timpano e l'arco del portale sia a destra che a sinitra vi sono due stemmi: uno rappresenta lo stemma del Vescovo/Abate sotto cui è stata edificata la chiesa, l'altro rappresenta una palma con una croce per il santo martire che si custodisce. Al centro la "T" ,tau, che è l'emblema del culto di San Antonio Abate. Al di sopra del timpano vi è una finestra con alla sommita, un architrave semicircolare. L'interno, ad un navata, con un altare in marmo policromo, custodisce diverse opere d'arte tra cui: una pregevevole tela che raffigura " L'Arcangelo Raffaele e il profeta Tobia"di cui non si conosce l'autore, e una statua dell'800 raffigurante "Sant'Antonio Abate" opera dello scultore palazzolese Giuseppe Giuliano. Inoltre vi si custodisce una cassa reliquiaria in argento opera degli argentieri netini Silvestro e Francesco Catera contenenti i resti ossei di San Alessio Martire donate all' Antica Città di Noto nel 1661 da Papa AlessandoVII.

fonti: